Il mito di Narasimha

Collera, ira, rabbia, irritazione, risentimento, rancore, indignazione, furia, impeto, sono alcuni dei termini che definiscono il sentimento furioso, tanti sono i triggers (gli elementi scatenanti) che ci fanno ribollire il sangue. Da un suono fastidioso, da un ingorgo stradale, ad una mancanza di rispetto, e molti altri. Nel nostro quotidiano, ci arrabbiamo spesso.
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“Trattenere la rabbia è come trattenere un carbone ardente con l’intento di gettarlo a qualcun altro; sei tu quello che si scotta.”

Come oggi, anche nel passato il sentimento d’ira ha condizionato la storia e la vita dell’uomo. Nella mitologia ellenica si narra dell’“ira di Giove” e di Lyssa, dea della rabbia e del furore cieco, la Bibbia cita “l’ira di Dio”.

Anche nella cultura orientale la collera è descritta sotto forma di creature potenti e talvolta mostruose.

Tra i tanti racconti, la tradizione induista, ci propone il mito di Narasimha:

La storia di Narasimha è tratto dal Bhāgavata Purāṇa, tra i testi sacri principali dell’induismo, in cui Viṣṇu/Kṛṣṇa è la divinità principale.

Il mito racconta del demone Hiranyakashipu e del giovane Prahlada.

In un tempo di lotte tra i Deva (divinità) e gli Asura (demoni), Viṣṇu, tramite uccise il demone Hyranyaksha, fratello di Hiranyakashipu. Hiranyakashipu, spinto dal desiderio di vendetta, dichiarò odio e guerra contro Visnu e i suoi seguaci. Celebrò una cerimonia per Brahma e affrontò una dura penitenza, al termine della quale Brahma, compiaciuto dal suo gesto, si offrì di esaudire un suo desiderio.

Non potendo chiedere l’immortalità, Hiranyakashipu chiese di “non morire né in terra né in cielo, né nel fuoco né nell’acqua, né di giorno né di notte, né in un palazzo, né fuori, né per mano di uomo, né di animale, né per mano di un dio, né ad opera di ogni essere vivente o inanimato”.

Con tali poterei, il re Hiranyakashipu impose il suo dominio in tutto il regno, proibendo ogni forma di culto per Visnu.

A sua insaputa, però, il divino saggio Narada parlò della grandezza di Sri Viṣṇu al figlio di Hiranyakashipu, Prahlada, mentre questi era ancora nel grembo materno. E continuò a recitargli i mantra Om Namo Narayanaya e Om Namo Bhagavate vasudevaya (mantra di devozione per Visnu)

anche dopo la nascita. Inevitabilmente, Prahlada nacque già devoto di Viṣṇu.

Quando il re demone lo scoprì, tentò di impartire una rigida educazione per convertire il figlio e fare in modo che egli si unisse alla lotta contro Visnu, ma i suoi tentativi furono vani. Prahlada continuò nella sua assoluta devozione.

In preda all’ira, il re Hiranyakashipu, cercò allora di far uccidere il figlio, nei modi più violenti e crudeli, tra cui schiacciarlo con un elefante, e gettarlo da un precipizio. Ma il fanciullo era protetto dal dio Visnu e nessuno riuscì sempre a salvarsi.

Non sapendo più come fare, un giorno, verso il tramonto, il re chiamò il figlio a corte e gli impose di riconoscerlo come Signore dell’Universo, ma Prahlada rispose che questo titolo spettava solo a Viṣṇu.

“È invano, padre, tentare di dissuadermi. Una mente non controllata diventa il nostro peggior nemico. La vera conquista, è quella della mente sull’ego. Visnu è ovunque.”

Il sovrano Hiranyakashipu ardeva di collera. Indicò un ingresso del palazzo, formato da due colonne e chiese al figlio se Viṣṇu fosse in una di

quelle colonne. Prahlada rispose “C’era, c’è e ci sarà“.

Hiranyakashipu, si lanciò contro la colonna e la distrusse, da essa comparve Viṣṇu nelle sembianze di Narasimha, una creatura divina metà uomo e metà leone.

Hiranyakashipu non poteva essere ucciso da un uomo, da un animale o da un dio, ma Narasimha era qualcosa di diverso: un dio incarnato in una creatura in parte umana, in parte animale.

Non poteva morire né di giorno, né di notte, ma era il crepuscolo.

Si trovava sulla soglia del palazzo (né dentro, né fuori).

Narasimha sollevò il demone (né in terra, né in cielo) e con i suoi artigli (né viventi, né inanimati) lo sventrò e divorò.

In questa forma, Narasimha, avatar di Visnu, non riuscì più a contenere la sua furia animalesca e cominciò a uccidere tutti i soldati dell’esercito del re demone.

Diverse sono le versioni di come Narasimha fu placato. Secondo gli Shiva Purana, Narasimha fu fermato dallo steso Sri Shiva, ma nel Bhagavata

Purana si dice che nessuno dei semidei presenti fosse in grado di fermarlo, finché Prahlada stesso, eterno devoto, fu portato al suo cospetto.

Finalmente, Narasimha, alle preghiere del suo piccolo devoto, si calmò e spense la sua rabbia omicida.

Per ringraziarlo di tale gesto, Visnu si rivolse a Prahlada: “Chiedimi Prahlada qualsiasi cosa tu desideri. Tu sei il mio figlio prediletto.”

“Signore io non desidero nient’altro che Te”, rispose il principe. Ma Vishnu insistette e Prahlada disse: “quell’intenso amore che gli ignoranti portano verso le cose mondane, possa io averlo per Te. Ma solo per amore dell’Amore”.

Vishnu fece cenno con il capo: “per mio ordine, godrai della benedizione divina per tutta la tua vita mortale. Compirai opere meritorie e alla dissoluzione del tuo corpo potrai godere del tuo samadhi”.

Come in ogni racconto indiano, il male è sconfitto dalla devozione, dal buon senso e dall’amore.

Ekman, psicologo americano, ha definito il termine ira o rabbia come “uno stato psichico alterato, in genere suscitato da stimoli esterni capaci di rimuovere i freni inibitori che normalmente orientano le scelte del soggetto coinvolto”.

L’iracondo prova una profonda avversione verso qualcosa o qualcuno, ma in alcuni casi anche verso se stesso. L’ira, spesso, è una delle strategie cerebrali per affrontare la paura dell’incertezza. Quando siamo arrabbiati i muscoli si tendono, aumenta il battito cardiaco, la pressione sanguigna, il ritmo respiratorio e inoltre, il cervello rilascia catecolamine che stimolano azioni protettive immediate, come gesti o parole.

Si ritiene erroneamente che il giusto vivere richieda di mantenere sempre la calma e contenere l’aggressività. In realtà, il primo passo consiste nel riconoscere e comprendere l’emozione, dandole uno spazio.

La rabbia è legata alla frustrazione e la frustrazione è legata al dolore: la rabbia, quindi, maschera un dolore. E cosa c’è di sbagliato in un dolore? Niente.

Come per il re demone Hiranyakashipu, l’ira derivava dal desiderio di vendetta e dal dolore della perdita del fratello, per Narasimha, la rabbia scatenata era il vendicare tutte le ingiustizie subite dai fedeli di Visnu e dal piccolo Prahlada.

C’è una bellissima poesia di Nikita Gill, poetessa indo-britannica:

The Truth about Monsters

The truth is this:
every monster
you have met
or will ever meet
was once a human being
with a soul
that was as soft
and light
as silk.
Someone stole
that silk from their soul
and turned them
into this
So when you see
a monster next
always remember
do not fear
the thing before you
fear the thing
that created it
instead.

La Verità sui Mostri

La verità è questa:
ogni mostro
che hai incontrato
o incontrerai
era una volta un essere umano
con un’anima
soffice
e leggera
come seta.
Qualcuno rubò
quella seta dalla loro anima
e li ha trasformati
in tali creature.
Perciò quando vedi
un mostro di fianco a te,
ricorda sempre
di non temere
la creatura in sè,
ma temi
ciò che
l’ha creata.

Sara Savorani