Lo yoga, come ogni altro cammino spirituale, si pone come meta ultima, la liberazione.
In cosa consiste questa libertà tanto ricercata nelle pratiche di tutti i tempi?
Diversi sono i significati che ha assunto nel tempo, oggi sulla nuvola insistiamo su quello che ci è fornito dalle filosofie tantriche, quelle alla base delle pratiche che svolgiamo ogni giorno sul tappetino.
Il discepolo dedito a discernere la vera natura del Sé e della realtà ultima, può superare il proprio stato contratto di coscienza, causa della propria ignoranza spirituale, e conseguire la liberazione. La forma più autentica di liberazione è possibile in questa stessa vita (jivamukti), ammette la presenza al mondo e non la necessità di abbandonarlo, mediante la realizzazione della propria identità con l’intero universo, in altre parole, con Śiva.
Ogni pratica che eleva la nostra coscienza, che apre il nostro cuore, che ci avvicina all’altro, che ci fa sentire parte del tutto, che unisce e non separa, che espande e non riduce, che illumina la nostra visione… è efficace nel nostro cammino verso la liberazione.
Durante la nostra pratica facciamo esperienza di una condizione non ordinaria di meraviglia, che aumenta nella misura in cui la profondità della nostra pura intuizione si eleva; ciò avviene a mano a mano che le convenzioni del linguaggio discorsivo quotidiano sono immerse nell’energia straordinaria suscitata dalla pratica, dalla sacralità del luogo, dal nostro coinvolgimento corporeo e mentale, finché tale condizione di meravigliato assaporamento (camatkāra) è estesa a ogni momento della nostra vita, non più vincolata al momento meditativo.
E così, ogni momento della vita può portarci all’esperienza del divino, se sappiamo renderci disponibili a questa visione, grazie alla quale anche ciò che sembrerà brutto, doloroso o difficile, potrà avvicinarci a questa consapevolezza.