Yoga, mobilità e flessibilità

Una delle frasi più comuni che sento quando consiglio di praticare yoga è, “mi piacerebbe, ma non sono flessibile, sono un pezzo di legno, non sono abbastanza flessibile!” …Come dire, “non vado a scuola perché non so leggere”.
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La domanda che oggi vi propongo è:

“per praticare yoga, bisogna avere flessibilità e/o mobilità?”

Indice:
Differenza tra mobilità e flessibilità

Che differenza c’è tra la mobilità e la flessibilità?

Queste due qualità dell’espressione corporea vengono spesso confuse o addirittura sovrapposte.

Facciamo un po’ di chiarezza. 

Definiamo mobilità la capacità di raggiungere un range attivo, cioè l’escursione massima di movimento che un articolazione può raggiungere, con la sola attivazione dei propri muscoli.

Definiamo flessibilità o range passivo, l’escursione massima che si può raggiungere con un aiuto esterno, quale la gravità, alcune attrezzature o l’intervento di un’altra persona.

In ogni essere umano la mobilità si traduce nell’ampiezza di un movimento che ogni articolazione può eseguire all’interno del proprio range articolare, mantenendo la capacità di generare forza e stabilità. 

La flessibilità è la capacità naturale di potersi “piegare” molto. Le persone flessibili, iper-flessibili o lasse, raggiungono determinate posizioni senza alcuna richiesta di forza e controllo elevati, e possono raggiungere una determinata postura con il semplice “appoggiarsi” alla propria flessibilità.

In altre parole, la mobilità è un’abilità, la flessibilità è una capacità.”

Nella mobilità si sviluppa forza nel movimento. Essere forti nei movimenti con range elevati, con una maggiore attivazione muscolare sia al livello superficiale che a livelli più profondi, presenta grandi vantaggi. Lo sviluppo della forza porta ad un grado di stabilità più elevato.

La mobilità è un’abilità attiva che ci porta ad un controllo del movimento fino al massimo range.

La flessibilità è una capacità passiva che, allenandola per portarla ad un range maggiore, non si è sempre in grado di controllarla e tantomeno di sviluppare in essa  forza.

Possiamo quindi dire che non ha molto senso allenarsi per aumentare il grado di flessibilità senza generare forza e quindi avere poca stabilità.

“Nella mobilità si è stabili, nella flessibilità non è detto.”

Mobilità articolare

La mobilità, come abbiamo già detto, esprime il controllo della forza per avere stabilità e per ampliare il range di movimento durante tutta l’espressione della posizione (asana). 

Inoltre, mantenere una buona mobilità articolare consente di sfruttare al massimo la forza del muscolo facilitando così l’esecuzione del movimento.

La mobilità articolare può essere anche influenzata da fattori fisici interni, quali estensibilità dei legamenti e dei tendini, elasticità e lunghezza dei muscoli, ma può essere anche influenzata da fattori esterni, come l’aumento della temperatura esterna (…pensate alla pratica di Bikram Yoga!).

L’uso controllato della mobilità articolare aiuta a prevenire infortuni. 

Parliamo di flessibilità

La struttura portante del nostro corpo è formata da ossa, muscoli e tendini.

Le ossa hanno poca elasticità, seguono i tendini e legamenti, di media elasticità, e infine i muscoli, con grande elasticità.

Uno degli ostacoli al raggiungimento di una determinata postura (asana) può essere la nostra conformazione ossea. Infatti una specifica struttura osteo-articolare può comportare una situazione di compressione osso su osso limitando così estensione del movimento. Per esempio la ridotta mobilità della testa del femore all’interno dell’acetabolo, ci permetterà di guadagnare libertà di movimento fino a un certo punto. 

Anche il poco utilizzo muscolare che causa atrofizzazione muscolo-tendinea, però trattandosi di tessuti elastici con dell’esercizio si può apportare rimedio.

Alcuni esempi di allungamento
Allungamento statico

Tante posizioni vengono eseguite utilizzando questa tecnica.

Si tratta sempre della ricerca di un allungamento, assistiti dall’azione muscolare e possiamo individuare due tipologie leggermente diverse di allungamento statico:

  • allungamento statico attivo: prendiamo in esempio setu bandha sarvangasana (la posizione del mezzo ponte), in cui ricerchiamo un allungamento statico dei muscoli anteriori del corpo (l’ileopsoas e i quadricipiti, ma anche pettorali e addominali), con la sola attivazione dei muscoli agonisti (glutei, bicipiti femorali e dorsali) applicata contro la forza di gravità.
setu bandha sarvangasana
  • allungamento statico passivo: prendiamo in esempio paschimottanasana (posizione di profondo piegamento in avanti), contraendo i muscoli agonisti, in questo caso i quadricipiti, l’ileopsoas e i muscoli addominali, avremo un allungamento statico attivo degli ischiocrurali e di tutta la catena posteriore. Qui incontriamo un maggiore grado di rilassamento, in quanto la forza di gravità interviene in aiuto nell’allungamento.
paschimottanasana
  • Allungamento dinamico: questo tipo di allungamento viene usato comunemente durante una pratica di Vinyasa o di Hatha flow e si basa su movimenti ripetuti del corpo, per esempio:
    phalakasana <—> adho mukha svanasana
    uttanasana <—>ardha uttanasana

Allungamento facilitato: durante l’allungamento statico attivo, contrarre dolcemente il muscolo che deve essere allungato e trattenere questa contrazione per alcuni secondi, una volta sospesa la contrazione si avrà un profondo allungamento del muscolo.

Quest’azione prende il nome di PNF: facilitazione neuromuscolare propriocettiva.

Possiamo applicare questo tipo di allungamento statico attivo in posizioni che richiedono un profondo allungamento, in modo da accompagnare il corpo nella profondità della posizione in modo graduale, sicuro ed efficace.

Alcuni esempi di posizioni in cui l’allungamento facilitato è particolarmente benefico, sono le posizioni di hanumanasana e prasarita padottanasana: